"Metodo di autoguarigione... Antico quanto l'Universo... Continuamente dimenticato attraverso le epoche... Sepolto infinite volte nei cuori, laddove nessuno guarda mai... Oggi lo riportiamo alla luce."

Reiki e presenza: un approccio zen!

Per la mia esperienza, esiste un punto particolarmente delicato sul percorso di ogni praticante Reiki tanto da poter essere considerato un bivio costante che si ripresenta a fasi cicliche. Questo significa che è un aspetto che ricorre continuamente nella vita del praticante e che richiede consapevolezza e lavoro su di sé per riconoscerlo.
Spesso mi capita di incontrare praticanti che sono stati attivati al Reiki, ma che non praticano più, che dopo l’iniziazione e un po’ di pratica si dedicano ad altro, facendo Reiki solo di tanto in tanto magari se qualcuno lo chiede o se si partecipa ad una serata sull’argomento, o ad un seminario. Esiste quindi la possibilità che dopo aver appreso la tecnica si sposti l’attenzione su altre tecniche senza mai trovarne una in particolare nella quale riconoscersi fino in fondo per realizzare una vero cambiamento.
Il fatto di esplorare nuove tecniche non è di per se negativo, ma la sensazione che ho in molti casi durante incontri di gruppo è quella che molti praticanti passino da Reiki ad altre tecniche come si potrebbe passare dal vecchio modello di smartphone a quello nuovo, da qualcosa di ormai conosciuto che ha fatto il suo tempo e che già conoscono in lungo e in largo a qualcosa di nuovo, di più attuale.
Questo a volte succede anche senza passare ad un’altra tecnica, ma rimanendo in Reiki e passando magari da un gruppo ad un altro, da un maestro ad un altro, o da un livello Reiki a quello successivo. Questo non è un cambiamento spontaneo dettato da un esigenza profonda, ma è una illusione che cambiando qualcosa fuori si possa cambiare qualcosa dentro. Non c’è nulla di sbagliato nel cambiare tecnica, ma quando questo accade sono sicuro di aver integrato su tutti i piani l’insegnamento e la pratica di quello che ho sperimentato? Sono sicuro di aver preso tutta la conoscenza possibile da questo strumento? L’ho davvero usato applicando con scrupolosità tutti i suggerimenti che mi sono stati dati in fase di insegnamento? Sono sicuro di aver colto ogni aspetto evidenziato da chi mi ha trasmesso la conoscenza? Ho fatto del mio meglio o ponendomi questa domanda sento il bisogno che per rispondermi di si devo darmi ancora tempo e praticare?
Reiki è una tecnica molto semplice e se la si incontra superficialmente può accadere di avere la sensazione che dopo un po’ di pratica non ci sia più nulla di nuovo, che la si conosce completamente e che non riservi più nessuna sorpresa a chi la sperimenta. Questo è un aspetto che si trova a tutti i livelli della pratica di Reiki.
Incontro praticanti di Reiki a tutti i livelli che non praticano più, che hanno dimenticato tutto, che non sanno rispondere a domande molto semplici sulla tecnica. Molte volte gli studenti di primo livello che mi seguono da vicino si sorprendono di come certe domande possono arrivare da terzi livelli di Reiki. Questo accade poiché smettono di praticare e il motivo per cui smettono di farlo è che l’intenzione iniziale con cui si erano accostati a tale tecnica perde via via nel tempo quel valore che veniva dato all’inizio forse più per il fattore novità.
La novità ha il potere di catturare l’attenzione e portarla via da qualcosa che faccio, a cui mi sono in qualche modo abituato. In ognuno di noi c’è il bisogno di cercare nuovi stimoli, di riempirci di nuove informazioni, cercandole a volte come fossero acqua nel deserto senza accorgerci della compulsività con la quale portiamo avanti questa azione. Porsi spesso delle domande sicuramente aiuta. Ma che cos’è che sto cercando? Quale vuoto sto riempiendo? Cosa è che mi manca? E soprattutto sono sicuro che ciò che ho non è sufficiente per soddisfare questo mio bisogno? Sono sicuro di usare ciò che conosco in tutti i modo possibili?
Ci sono stati momenti nel mio percorso in cui ho trovato affascinante alcune tematiche nella mia ricerca spirituale, momenti in cui sentivo una grande spinta ad informarmi in seguito ad esperienze che facevo. Tematiche che danno delle prospettive diverse da cui osservare la vita e l’uomo dando una visione sicuramente molto più vicina alla “realtà” rispetto a quelle con cui le persone solitamente crescono ognuno nella cultura a cui appartiene.
Ricevere l’iniziazione al Reiki sicuramente apre a tutti i livelli nuove possibilità come ad esempio incontrare altre persone che accelerano il nostro processo evolutivo dalle quali ci arrivano  nuove informazioni su di noi, sul mondo in cui viviamo, sul perché le cose sono in un certo modo. Sono tutti aspetti molto affascinanti e che ci attraggono in quanto nuovi e da un certo punto di vista più appaganti rispetto a teorie un po’ più infantili a cui siamo stati abituati.
Questo è qualcosa che accade inevitabilmente poiché ogni parte di noi è coinvolta nel processo di guarigione e di crescita, anche quella mentale dove risiedono le informazioni.
Come insegnante di Reiki mi capita spesso di incontrare praticanti nelle cui condivisioni trovo venga dato un peso non indifferente agli aspetti filosofici del Reiki. La conoscenza sembra essere ricca di elementi e il dibattito in alcuni casi è davvero interessante. Ma più la mia pratica come insegnante si approfondisce e più, quando mi  trovo in cerchio in una condivisione di questo tipo, ho la sensazione nel corpo di essere sospeso. Una specie di forza di gravità al contrario dove qualcosa mi tira in alto se non mi aggrappo per bene al pavimento.
Portando attenzione al corpo mi accorgo che l’elemento comune di condivisioni di questo tipo è il riferimento a qualcosa che non è presente lì in quel momento. Riguarda spesso il passato o è astratto come può esserlo una opinione, qualcosa che non include un’esperienza soggettiva di quel momento da parte di chi parla. Vi è il riferimento a qualcosa che se è stato sperimentato dalla persona che parla non è comunque presente nel momento in cui ne parla. Molte volte è solamente un ricordo che niente a che vedere con quello che si sta facendo ed è magari richiamato alla mente dalla esperienza di qualcun altro.
Facendo seminari, tenendo conferenze e serate di gruppo, riconosco nel praticante Reiki la possibilità di non sentire la propria presenza come una necessità, proprio per il fatto che il praticante Reiki è un canale dell’Energia dell’Universo, che non usa la sua energia. Il rischio che ci si faccia una IDEA del piano fisico piuttosto di viverlo come una dimensione reale è altissima.
Il candidato Reiki riceve l’iniziazione e da quel momento può canalizzare l’Energia Vitale Universale a proprio beneficio o per gli altri. Fare trattamenti Reiki non include necessariamente il lavoro sul corpo. La dimensione del corpo dal punto di vista della sollecitazione attiva non è indispensabile. L’Energia di Reiki si muove nel praticante comodamente sdraiato nell’autotrattamento o seduto nel trattamento all’altro e fluisce. L’energia individuale non viene usata. Se sono presente mi gusto quello che accade, se non lo sono l’Energia di Reiki va comunque a lavorare dove c’è più bisogno.
Qui a mio avviso c’è un bivio importantissimo di fronte al quale si spiega tutto ciò che stiamo osservando in questo articolo: la presenza e il corpo.
Col gruppo di Spazioreiki organizziamo delle serate di “REIKI & Centratura/Presenza” proprio per esercitare la presenza che altrimenti tende ad atrofizzarsi così come succede ad un muscolo.
Lavoriamo sulla centratura del cuore per quasi un’ora e facciamo delle condivisioni ben strutturate subito dopo con la possibilità di comunicare quanto sento in uno spazio di presenza. La comunicazione aiuta molto la presenza. Se ho qualcuno davanti che mi ascolta mentre comunico ciò che ho provato poco prima o addirittura ciò che provo mentre comunico sono stimolato a stare vigile, ad aprirmi a ciò che sto vivendo, ad essere presente. Questo fa si che dentro di me si alleni un continuo ritornare a me, a dove mi trovo, a ciò che vivo in questo momento. Diventa importante essere presente anche durante il trattamento Reiki e portare questa presenza ad ogni momento della mia pratica. Diventa in qualche modo un’abitudine consapevole chiedermi “di cosa ho bisogno ora?”. In tutto questo il corpo assume un ruolo fondamentale poiché è la sede toccata da tutte le esperienze. Il corpo è sempre nel momento presente e sente tutto. Per cui se alleno una certa pratica di contatto e connessione continua con il corpo la qualità della mia presenza sarà intensificata.
Per approccio zen intendo quindi un approccio che sia pratico, che lasci andare ogni filosofia, ogni linguaggio astratto, ogni tipo di comunicazione che non sia fondata sulla mia esperienza che faccio in questo momento su di tutti i piani cominciando da quello fisico.
A questo fine lavorare con i trattamenti a terra durante i seminari di Reiki e possibilmente a casa nel quotidiano è un ottimo esercizio per sollecitare il corpo nella pratica Reiki. Ovviamente ogni struttura fisica è diversa per cui alcuni incontreranno dei limiti, delle rigidità. L’invito è di non fuggire da quei limiti. La comodità va cercata e trovata. Il praticante deve essere comodo per fare un buon trattamento, ma non perdere il contatto con i propri limiti che comunque esistono aiuta a migliorare la propria flessibilità trattamento dopo trattamento. Se sto a contatto con i miei limiti a furia di praticare le rigidità nel sistema corpo-mente si scioglieranno naturalmente. Tutto andrà in in equilibrio.
Scritto da Fabrizio De Pascale – Reiki Master

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